ASIA,  CAMBOGIA

Dispacci dalla Cambogia

Appena si passa la frontiera la prima cosa che si vedono sono i casinò, grandi, tristi, e poco opulenti. Quasi squallidi. Si concentrano per lo più per i primi 5 km, poi dal finestrino del nostro scassato minivan, si apre una nuova realtà.

Gli spazi sono più ampi rispetto a quelli del Vietnam. Ci sono estese campagne e risaie, circondate dalla tipica terra rossa caratteristica di questa nazione.

Pochi alberi, poca vegetazione, estirpato quasi tutto nel periodo buio.

Una terra incredibilmente polverosa quando asciutta dal sole, fanghiglia impastata quando piove.

Si intravedono i primi musulmani.

Riso ovunque, spesso anche amaro, per parafrasare un titolo di una famoso film italiano.

Bandiere, bandiere rosse e blu ovunque.

Continuo a guardare fuori dal finestrino: mucche al pascolo, bufali dentro l’acqua.

Folle corsa in velocità in queste strade alquanto dismesse superando tuk tuk, camion, bambini in bicicletta e immancabili motorini colmi all’inverosimile di qualsiasi cosa.

Tutto è molto più rurale rispetto l’avanzato vicino di casa appena visitato, ma pieno di carisma. Sono pronta a viverlo e a capirlo al meglio delle mie possibilità.

La Cambogia è giovane, la sua popolazione ha un’età media di 20 anni. Questo, indica la drammaticità di quello che è successo nella sua storia.

Sterminate circa 3 milioni di persone, 40 anni fa.

Tre milioni di persone, quaranta anni fa per tre anni, otto mesi e venti giorni. Sapete cosa significa?

Significa che, spazzi via un terzo della popolazione. Un terzo di famiglie, di anziani, di giovani, di neonati. Significa che spazi via tradizioni e cultura, arte e poesia, istruzione e dignità.

Braccialetti simbolo di memoria nei campi di lavoro degli Khmer rossi

Via per primi chi, con la cultura ci aveva a che fare: insegnanti, funzionari statali, studenti, medici e avvocati. Se indossavi gli occhiali, potevi rappresentare un eventuale nemico di Angkar, del nuovo sistema politico, perché? Le lenti indicavano persone studiose, quindi a morte pure quelle. Meglio vincere sugli ignoranti. Via le proprietà private, via qualsiasi tipo di religione, distrutta una buona parte di statue rappresentanti il Budda, via le case a favore di una società agricola e di uguaglianza per tutti.

Una drammatica dittatura chiamata Kampuchea Democratica.

Di Pol Pot, compagno numero 1, non si parla, ma credo che tutti qui avrebbero una storia da raccontare. Senza il credo. Vogliono, giustamente dimenticare. Lo vorremmo anche noi. Peccato che i responsabili non stanno pagando abbastanza per quello che hanno fatto.

In testa non sono più cappelli a cono, ma le sciarpe, quelle khmer, quelle a quadretti.  I capelli a caschetto banditi, sono dolore e ricordo dei campi di prigionia, solo capelli lunghi per le bambine, le ragazze e le donne.

I khmer non sono i cattivi, ma sono le popolazioni cambogiane.

Quelli rossi sono cattivi.

Rossi perché il rosso simboleggia il comunismo.

La Cambogia è la sua campagna verde, piana e bellissima da cui svettano qua e là palme snelle e sottili. La sua campagna che nasconde la terribile attuale insidia di una guerra silenziosa, ma non troppo. Le mine antiuomo.

E’ il cambiamento che sta arrivando repentino, la voglia di andare avanti.

I fiori di loto e gli alberi di frangipani.

La ricchezza del loro oro bianco, il riso.

E’ fango quando piove, polvere rossa irrespirabile per le strade, che spesso colora qualsiasi cosa sia ai suoi bordi.

Sono tuk tuk traballanti che ti portano ovunque.

E’ pietra millenaria che ti lascia senza fiato davanti ad una delle albe più fotografate del mondo. Pietra millenaria schiacciata da radici immense che creano incastri da lasciare senza fiato. La meraviglia che, a volte provo davanti a certe bellezze, mi lascia sempre pazzescamente stupita. Peccato le mille mila persone, ma del resto stiamo parlando di Angkor Wat.

Alba ad Angkor Wat

Sono le biciclette enormi guidate dai bambini per andare a scuola. Bambini vestiti con divise diverse a seconda della scuola e dell’ordine scolastico. Bambini fortunati quelli che ci possono andare.

Frequentano istituti di fattezze architettoniche uguali al liceo più prestigioso di Phnom Penh che divento’ poi il tragico carcere S21.

Sono i piedi scalzi e sporchi degli altri bambini, quelli che non hanno la possibilità di andare a scuola. Bambini che vengono trattati, venduti, smerciati. Crudo, doloroso, ma vero. Non serve chiudere gli occhi.

E’ il traffico, sicuramente minore rispetto alle grandi città vietnamite, ma e’ anche tranquillità nei paesi più piccoli di provincia, dove tutto scorre lento.

Sono cartelloni pubblicitari della birra Cambodia e Angkor in qualsiasi angolo. È il succo dolcissimo delle canne di zucchero schiacciate, della polpa colorata della frutta. Lo sfrigolio delle verdure e della carne, l’esposizione bizzarra di ragni, scorpioni, blatte e larve a misura di cena per turisti coraggiosi e non curanti. E’ Il brulichio dei mercati e la lentezza della vita sul Mekong.

La Cambogia è profonda dignità di una popolazione che ha abbandonato il passato per buttarsi nel nuovo millennio, impreparato e indaffarato. E che il popolo cambogiano è giovane te ne accorgi davvero, lo tocchi con mano, ma qualcosa stride. Stride il fatto che li vedi con i loro smartphone di ultima generazione, con ipad, facebook, capelli con le meches, trucchi troppo forti e gonne troppo corte. Come se tutta la nostra evoluzione fosse catapultata nei nostri anni ’60. Come se mia nonna fosse andata nel campo con il telefonino in mano, non so se rendo l’idea.

E’ profonda dignità nelle persone che ti sorridono e ti accolgono, nei matrimoni allestiti a banchetti nei bordi delle strade. È dignità nelle commesse, nelle cameriere, nelle massaggiatrici, nelle madri, nelle figlie, nei guidatori di tuk tuk, negli uomini che lavorano nelle campagne e in quei pochi anziani rimasti che poco sorridono.Io li guardo, piego la testa in maniera delicata in segno di saluto e penso a chi saranno stati: vittime, soldati, aguzzini. Chi lo sa…vorrei chiedere, vorrei sapere, vorrei indagare, ma è difficile approcciarsi, non credo sarebbe rispettoso.

Carcere S21

E allora continuo i miei pensieri portando rispetto a chi purtroppo ne ha avuto davvero poco e mi ritrovo nel vortice del capodanno nella strada principale di Siem Reap. È ressa, è caldo, non c’è spazio per scegliere dove andare, la marea di gente ti porta con sé. Li mi guardo intorno e in mezzo, credo a 10.000 persone, mi rendo conto che quello più adulto ha circa 45 anni, incredibile gioventù tutta intorno a noi. Sorrisi, teste alte, balli di musica disco e sguardi rivolti al nuovo anno di giovani che scriveranno il futuro, spero migliore, della nazione.

Mentre sono su l’ennesimo scomodo minivan nel bel mezzo di un viaggio impossibile, penso a quale possa essere la migliore istantanea per descrivere questo paese. Io la scatterei così: una strada rossa in mezzo a verdi risaie, due bambini: un maschio e una femmina. Pedalano andando avanti, ma all’improvviso si girano indietro con un sorriso, giusto per il mio scatto.

Il sorriso della speranza che sconfigge la paura.

Grazie Cambogia.

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