EMIRATI ARABI,  MEDIO ORIENTE,  PENISOLA ARABICA

DUBAI: il lato oscuro dello scintillio 

Dubai ho sempre pensato mi dovesse piacere per forza. Piace a tutti. In realtà non è stato così. Ecco il lato oscuro della città a cinque stelle.

A Dubai c’è tutto. Pensate ad un brand, ad una multinazionale e qui la troverete.

Pensate ad una concessionaria auto e qui potrete comprare proprio quella macchina che va dalla scala lusso a super lusso.

Di giorno il landscape sembra uscito da una cartolina creata con l’Intelligenza Artificiale. Di sera quando si accendono le luci diventa strabiliante. Per davvero.

Dubai è finta, dicono tutti con un risentito e leggero disprezzo.

Su questo non si discute, ma non credo che nessuno la pretenda autentica o mai cercata tale. Se si è a caccia di atmosfere storiche e millenarie non è la destinazione giusta a prescindere.

Ci tengo però a correggere questo aggettivo, finta. 

Dubai è nuova. Questa è la sua autenticità e la sua colpa allo stesso tempo.

Dubai è una città innovativa, è una città che guarda avanti e lo fa talmente velocemente che oggi è già obsoleto. Così come in ogni guida scritta mancherà sempre qualcosa.

Ci sono aspetti di questa città da cui tutti dovremmo prendere esempio, altri molto meno. Della serie salviamo il salvabile.

L’estensione geografica è immensa che quasi sorrido nel non trovarmi d’accordo nel chiamarla tutta Dubai. È come se da Rimini a Faenza si chiamasse tutto Ravenna.

Ma qui ciò che conta sono i primati: il grattacielo più alto del mondo, l’hotel con tante stelle più del firmamento, l’ascensore e il negozio di caramelle più grande dell’universo. Insomma a Dubai piace dimostrare che ‘ce l’ha più lungo degli altri’.

Visitare Dubai (e credo anche viverla) significa macinare km tra un punto e l’altro, perdere ore in bus (sempre che non si disponga di un budget per muoversi sempre in taxi), consumare le scarpe da ginnastica, i talloni e le rotule delle ginocchia per quanto si cammina. 

Come la sua città gemella, Abu Dhabi, non è pensata per essere a misura d’uomo, ma a misura di ciò che deve essere epico a prescindere dal prezzo da pagare.

D’ estate ha una temperatura altissima. È talmente caldo che non è pensabile stare all’aperto. Per questo motivo una buona parte della città è ragionata per essere vissuta al chiuso con i gradi centigradi che nemmeno a Cortina.

Se tutto ciò sembra fuori dagli schemi, vi assicuro che lo è. Se andiamo oltre all’effetto ’Disneyland’, l’adrenalina comincia a scendere per far spazio ad una sensazione che stride come gesso sulla lavagna. Tutto ciò che è sfavillante nasconde (nemmeno troppo) un perfetto abominio. 

Dietro le apparenze si palesa una realtà che mi ha fatto pensare molto, soprattutto in un momento storico in cui ogni azione viene pensata per garantire la sopravvivenza del pianeta.

La frase è forte, ma rende l’idea della tesi che sto per spiegarvi partendo dal fatto che non ho trovato Dubai una città green o sostenibile. 

In un mondo in cui la sensibilizzazione sul gestire le risorse nel migliore dei modi, sull’utilizzare meno plastica e vivere con consapevolezza, è altissima, qui sembra nemmeno passare il concetto. Anzi si fa quasi ‘spallucce’ dietro al ‘Dubai può’.

Vengono fatte esplodere montagne per ottenere i massi necessari a creare isole artificiali nelle quali l’acqua sta cominciando a stagnare, ma dove appartamenti da milioni di dollari vengono venduti ogni giorno. 

Vengono utilizzate milioni di auto non solo perché la benzina costa meno dell’acqua, ma anche perché senza auto non arrivi da nessuna parte in tempi ragionevoli. 

Si abusa della plastica in ogni settore, per non parlare del dispendio energetico di elettricità nel foraggiare mall, luci in ogni angolo, piste da sci o di pattinaggio, desalinizzare l’acqua per renderla potabile, acquari, zoo e via dicendo.

Ogni mattina centinaia di operai immigrati vengono caricati su navette sgangherate, quasi come carri bestiami, per essere portati nei cantieri edili. Gli stessi che danno alla luce alcove di marmo di Carrara con piscine a sfioro in ogni balcone.

Li chiamano i nuovi schiavi. Fate una ricerca su Sonapur abitata da circa 300.000 operai stranieri e vi renderete conto di che cosa stiamo parlando.

Con tutto ciò non voglio fare retorica non è questa la mia intenzione, ma condividere un disagio che è cresciuto in me durante la mia permanenza.

Ammetto di essere sempre stata incuriosita da questa città e non mi pento di esserci stata. Anzi, sono grata di aver visto con i miei occhi un luogo tanto esclusivo che nasconde l’altro lato della medaglia. Proprio per sottolineare e capire ancora meglio cosa non voglio.

Tornerò a Dubai? Non lo so. 

Se dovesse esserci qualche occasione particolare magari sì, ma sicuramente non la sceglierei più. Non sono riuscita a vedere tutto, ma va bene anche così. Non sento di avere dei sospesi. 

Sono una viaggiatrice e ci tengo molto nel raccontarvi le mie esperienze con onestà. Mi rendo conto di quanto questa città sia più un esperimento sociale che una destinazione.

Capisco e comprendo come Dubai abbia cambiato la vita a tanti. È’ normale visto le mille opportunità che presenta, ma per me non è abbastanza.

Come dicevo prima, indiani, pakistani, filippini hanno creato qui delle fortissime comunità. Sono coloro che portano avanti l’economia del paese. Sono coloro a cui vengono mossi i fili del sistema dove c’è chi guarda e finanzia chi lavora. È così ovunque, è chiaro, solo che è ancora più evidente perché gli immigrati sono l’85% della popolazione. Un dato pazzesco e indicativo.

Mi ha fatto sorridere anche il fatto che siamo sempre propensi a criticare il consumismo del grande sistema americano quando a 6 ore da casa c’è qualcosa che forse, per certi aspetti è ancora peggio. Un vero e proprio fenomeno da baraccone.

Lo sviluppo esponenziale del turismo dicesi essere la nuova opportunità di guadagno in vista dell’esaurimento inevitabile del petrolio. 

È questa la ragione per cui gli Emirati stanno investendo miliardi su miliardi per costruire strutture e infrastrutture che continuano a fare la differenza tra i Guinness dei Primati e tra i conti in banca. 

Fare un viaggio low-cost a Dubai è possibile, ma con il doppio della fatica di chi ha a disposizione più risorse per avere l’albergo con più vista, i taxi ad ogni spostamento e il tavolo nel ristorante primo in classifica su Instagram.

Sono onesta nel dirvi che vivere Dubai con dei soldi da spendere è tutta un’altra cosa.

A questo punto la mia domanda, che vuole essere una provocazione è: 

siamo sicuri che il turismo che intende Dubai sia un turismo per tutti? Oppure nel tempo sarà votato quasi esclusivamente al lusso 5.0? Siamo sicuri che tutto questo un giorno non imploderà su se stesso? 

Non ci sono risposte, solo il tempo dimostrerà chi ha torto e chi ragione.

Come in tutte le cose, è giusto che ognuno si crei la propria opinione entrando più o meno in sintonia con la città dai mille contrasti.

Se volete saperne di più potete guardare anche questo video:

Un commento

  • Giada

    Grazie per questa riflessione che sarà utile a tanti viaggiatori che sapranno cosa aspettarsi dietro allo scintillio.
    L’ostentazione non è proprio in linea con il mio modo di essere ma per curiosità avrei fatto visita anche io a Dubai, è giusto vedere con i propri occhi per farsi un’idea.
    A volte si rimane delusi, a volte sorpresi.

    Intuisco che Dubai rappresenta l’opposto di come vorrei io che evolvesse il mondo.
    Ma questa è una mia idea.

    Grazie Giorgia!

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